Le misteriose ombre del Primiero

I Gialli della Montagna

"Tutti e due gli uomini erano seduti in una poltrona che gli consentiva di guardare la televisione che abbiamo trovato accesa sullo stesso canale.  Entrambi portavano ancora in mano la pistola che avevano usato per colpirsi alla testa… e poi...". "E poi?". "Sette fogli di carta, posizionati accuratamente sotto il televisore, ordinati per pagina, la stessa carta, la stessa, tutto lo stesso." "Accidenti… Che cosa vuoi dire, che cosa vuoi dire con tutto lo stesso?".  "Erano sette pagine di un racconto, lo stesso racconto, scritto con una vecchia e mitica lettera 22.  Tutto uguale... tutto uguale.. tutto uguale".

Una ripetizione ossessiva che lascia inebetito il poliziotto di Milano che cerca allora di incoraggiare, spronare il suo amico a dire di più: "Prova un po' a calmarti, ti prego, ricominciamo.  Partiamo dall'inizio, sai, io sono un po' confuso. Dimmi, che cosa collega queste morti con il cadavere del fiume?". "Il racconto, le sette pagine del racconto, ma, in verità non è proprio un racconto compiuto.  È come se ogni pagina fosse un racconto a se, diverso dagli altri.  In sostanza sette racconti diversi". "Ti prego, aspetta, torniamo alle tracce iniziali.  Se ho capito bene... i racconti sono uguali". "Uguali.  È stata usata la stessa carta, la stessa macchina da scrivere. L'autore ha copiato esattamente i due testi senza nessun errore, senza che si colga nessuna differenza. Una virgola fuori posto? Un carattere diverso? Niente, niente.  I due testi sembravano in fotocopia ma l'operazione è stata manuale e perfetta!". 

Un politico potente, un luminare e riconosciuto scienziato della mente anch'esso molto temuto. Avevano fatto la stessa fine, una morte in copia.  Abitavano nella Piazza Duomo a Trento e i loro appartamenti si trovavano alla stessa altezza, nello stesso perimetro e con le finestre una di fronte all'altra.  Il quattro settembre i vicini sentono uno sparo. Il politico è rintanato in casa, è solo.  L' 11 settembre, ad una settimana esatta e alla stessa ora, la governante dello psichiatra sente uno sparo e si precipita nello studio del professionista.  Davanti alla scena comincia a gridare e poi sviene. La polizia non ci capisce niente. Poi quelle stesse pagine, quelle stesse copie, sotto il televisore.  Sette racconti diversi analizzati, per mesi e mesi, dagli investigatori. Passaggi inquietanti in tutte le pagine.

La pagina uno comincia così:" Qui leggerete che cosa è successo veramente allo psichiatra...".  La pagina due: "Qui leggerete che cosa è successo veramente a questo presunto politico potente".  E la pagina tre che carica i brividi nel sangue:  "Venne trovato un cadavere nel fiume Cismón all'altezza di un ponte tra i paesi di Mezzano e Fiera di Primiero. Ma il corpo non resisterà e si trasformerà per rendere ancora più potenti e invincibili le ombre...".

Una notte bellissima e stellata in Val D'Ultimo quando un pastore, che non dorme quasi mai, avvista un incendio nei boschi e lancia l'allarme.  Ma non è un vero incendio dei boschi.  Un agente del Corpo Forestale lo intende alla vista, a bordo dell'elicottero, quando il velivolo si avvicina alle fiamme.  È una macchina che brucia, una jeep di grossa cilindrata attrezzata per la caccia in montagna. All'interno vengono rinvenuti i corpi carbonizzati di tre cacciatori che otto ore prima avevano concluso la loro feroce tattica di annientamento di una mamma orso, un plantigrado anonimo, senza schedatura e collare di riconoscimento.

Un animale in sostanza assolutamente sconosciuto a tutte le autorità dei territori confinanti.  I tre cacciatori avevano avvistato per caso l'orso e  il suo cucciolo, si erano divisi i compiti di caccia, accerchiato la famiglia e consumato la strage.  Dapprima si erano divertiti a sparare sul cucciolo per godere della reazione della madre e rendere l'evento più emozionante.  Poi avevano giurato insieme di non raccontare a nessuno l'accaduto, nemmeno ai più fedeli membri delle famiglie.  Infine avevano concordato di caricare le due carcasse sulla jeep per poi nasconderle in un maso di proprietà di uno dei cacciatori dove sarebbero tornati il giorno dopo.  Ma per fare cosa?

Intanto, sempre più confusa, la polizia di Trento, invia le sette pagine del racconto ad un criminologo di Roma chiedendogli aiuto e discrezione.  È un professore di settanta anni che con le sue consulenze qualche mistero del paese lo ha risolto.  Ma quelle sette tracce per lui non sono convincenti e gli appaiono un trucco, una sorta di depistaggio.  Si china sulla pagina quattro e legge: "La mamma orso e il suo cucciolo sono tornati liberi e felici vagano tra la natura potente, diretti, senza meta, verso le divinità delle montagne lasciandosi alle spalle i fuochi dell'inferno dove, lentamente, bruciano gli assassini".

In città tutti conoscevano, rispettavano, a volte temevano i due suicidi.  Legati, per trent'anni, nella vita e, ora, nella morte, da un diabolico connubio. Lo psichiatra Gaetano Landirenti aveva cominciato la sua splendida carriera a Caltagirone, in Sicilia, ma le sue origini, che aveva saputo amalgamare con la doppiezza, lo volevano siracusano e bizantino.  Tanto che la voce popolare dell'isola così lo liquidava: "È siracusano".  Già da studente di medicina aveva capito da che parte stare.  Sapeva riconoscere i colori del potere e sapeva che la psichiatria era una perfetta macchina da guerra che gli avrebbe dato potere e la possibilità di ingraziarsi il potere con i suoi favori. Aveva anche capito che nel sud, prima o poi, avrebbe dovuto buttare una delle maschere e schierarsi.

Sarebbe stato costretto apertamente a scegliere un clan, una banda e conservare la faccia buona solo per chi non faceva parte della sua famiglia. Mentre il nord, moderno, europeo, gli avrebbe lasciato libertà di campo.  La faccia buona per tutti, quella cattiva solo per se e qualche altro. Pochi animali che non facevano branco.  Ma era davvero così il nord moderno?  Europeo civile e sviluppato?

Comunque fosse, i suoi trenta anni di connubio criminale gli dicevano che aveva fatto la scelta giusta. Era diventato amico di uno squallido burocrate politico piccolo piccolo e insieme, facendo strada, erano diventati grandi per l'occhio sociale.  A Trento tutti conoscevano il politico come "L"Innominabile" e insieme si appoggiavano, si tutelavano, si coprivano. E si ricambiavano. L'innominabile alternava la politica con la fiorente attività nelle costruzioni dandosi vanto delle sue case belle, solide, perfette.  Con i terreni rivalutati dalla politica dove crescevano i suoi funghi .  E più crescevano più era evidente il danno e la rovina di pastori e contadini  che, avendo creduto alle lusinghe e al miracolo del denaro ma solo nel tempo breve, si sarebbero poi svegliati dal sonno e inteso, con l'arrivo dell'incubo, di essere stati fregati. Alcuni davano battaglia e allora entrava in campo il "siracusano" che, di anno in anno, grazie all'innominabile, accresceva il suo prestigio diventando docente universitario, consulente giudiziario, e grande confessore dell'aristocrazia trentina.

E così, amato dai magistrati, rispettato dai suoi studenti, idolatrato dalle donne in crisi coniugale, lasciava cadere un cenno e decretava la rovina degli "ignoranti" che avevano osato portare in tribunale il palazzinaro.

E gli bastava poco, molto meno di quanto necessita ad un aguzzino. Lui faceva la diagnosi, consigliava i ricoveri, riteneva necessari i trattamenti sanitari obbligatori per il manicomio.  Era un gioco facile, a triangolo. Avvocato, magistrato, psichiatra.  L'avvocato dell'Innominabile diceva al magistrato: "Eccellenza, la reazione di questo contadino è spropositata, occorre una perizia psichiatrica!".  E a firmare la perizia c'era sempre lui: "È pazzo, è pazzo".

Andava così con famiglie distrutte, donne plagiate per il piacere sessuale del connubio criminale e "ignoranti" che al gusto di mangiare le verdure delle campagne ora meglio riconoscevano il conforto devastante dello psicofarmaco.

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