Scrivere in dialetto

Alcune norme per la trascrizione del dialetto

Partiamo dal presupposto che è impossibile scrivere in modo super-corretto il dialetto primierotto, per due semplici motivi.

Primo: non esiste un solo dialetto, bensì ogni paese, ogni famiglia, ogni persona (vecchia, giovane, media) ha il suo modo di parlare e di pronunciare frasi, parole, lettere (foni e fonemi).

Secondo: il dialetto è una lingua parlata, per scriverla bisogna adattarla al testo scritto e quindi tradurla, ma tradurre ha la stessa radice etimologica di tradire.

Allora come fare? Ci sono fior-fior di libri e di testi più o meno lunghi (poesie, racconti, interi romanzi) scritti in dialetto, sfogliandoli però ci si accorge che ognuno degli autori ha adattato/tradotto il dialetto in modo diverso: ognuno ha tradito alla sua maniera, in base “a l sò estro”. Esistono poi degli studiosi (i dialettologi o etnolinguisti) che si sono inventati delle norme di trascrizione del dialetto, ma anche gli studiosi hanno dato retta “a l sò estro” stabilendo miriadi di regole e regolette, a volte anche in contraddizione tra loro. Queste regole e regolette sono però fondamentali perché altrimenti vien fuori una-torre-di-babele-dialettale in cui tutti scrivono ma non è detto che gli altri capiscano bene o con completezza quel che è scritto (il dialetto, così come tutti i linguaggi, serve per comunicare e affinché ci sia piena comunicazione occorre una piena comprensione. E sappiamo tutti quant'è difficile farsi capire dagli altri esseri umani!).

Propongo quindi di prendere in considerazione alcune regole o “segni” sia per quanto riguarda la pronuncia (fonetica) che per quanto riguarda la scrittura (morfologia e sintassi).

Le Sette Regole

Sette regole per “segnare” la corretta pronuncia delle lettere (foni e fonemi) e parole:

  1. è, é aperta (bèl), chiusa (béna)

  2. ò, ó aperta (mòl), chiusa (dóbia)

  3. c' in posizione finale, affricativa sorda (bionoc')

  4. ch in posizione finale, occlusiva velare sorda (bosch)

  5. dh fricativa interdentale sonora (dhènt)

  6. s-c nesso grafico per sciogliere la “sc” (s-ciòp)

  7. zh fricativa interdentale sorda (porzhèl)

Raccomando di non esagerare con gli accenti! È importate “segnare” con accenti le parole dalla pronuncia ambigua o che spesso sono oggetto di errore, non serve segnare tutte le parole, personalmente non segnerei quelle che sono quasi uguali in italiano [es. cane = can].

Accenti, apostrofi, spazi

Tre regole per la scrittura delle frasi e di alcune parole.

  1. Togliere tutti gli apostrofi (') che segnalano le troncature perché spesso non si sa dove metterli [es. questi = 'sti; andone = 'ndón'... scriverei semplicemente sti e ndón].

  2. Separare con lo spazio una parola dall'altra [es. il padrone c'è solo di pomeriggio = el parón el ghe n é sol a l drìo medhodhì; particolare attenzione alla trascrizione di: c'è = ghe n é; c'era =ghe n era; alle preposizione semplici e articolate: alla mattina all'alba = a la matìna a l alba; e alle ripetizioni tra soggetto e articolo: l'ha preso lui il cane = i lo à tólt el el can; gliel'ho detto io = ghe l ò dhit mi].

  3. L'accento nei verbi è importante, sia quelli composti da una sola lettera o sillaba - a cui va tolta l'acca (h) - che a quelli di più sillabe [es. lui ha = el el à; io ho = mi ò; noi abbiamo = noi aón = noi avón].

Eccole qua! Tante? Troppe? Siamo tutti pienamente consapevoli che sarà difficile applicarle tutte, nessuno di noi è un fine linguista. Ma nulla ci vieta di provare e di provare a farlo bene (anche se il “male” ha il suo fascino... soprattutto quello che deriva dalla trasgressione o opposizione alle norme... ma non credo siano queste le norme a cui opporsi).

Per concludere tiro in ballo un aforisma di un rabbino polacco di cui non ricordo il nome: “le regole sono fatte non per essere rispettate, ma per essere prese in considerazione”. Che nel nostro caso credo si possa così parafrasare: no sta far le robe parché i te à dhit de farle o cossìta par el gusto de farle, ma faìle almàncol co n cich de sentimento!